Lazzaro Felice (2018) - Recensione


Quando si pensa al cinema italiano contemporaneo difficilmente si riesce a trovare un autore che riesca a raccontare con efficacia l'intima essenza delle nostre terre. Alice Rohrwacher però è una di quelle autrici, che riescono ad incantare, e con il suo ultimo lavoro Lazzaro Felice (id., 2018, 130') dà vita a un' opera che racconta con sentimento e vigore una piccola storia di agrodolce mistero, riuscendo intelligentemente a frugare nell'urna delle leggende popolari italiane.
La vicenda si apre in medias res con la quotidianità di un gruppo di contadini dell'Italia centrale e, in particolare, con l'idilliaca condizione di Lazzaro, un ragazzo a malapena ventenne che, per un ritardo mentale o per la sua ingenua bontà, si ritrova a essere alla mercé dei contadini. Ma sarebbe meglio dire mezzadri, dato che, pur essendo la storia ambientata negli anni '90, questi individui sono proprietà della Marchesa Alfonsina De Luna, la signora del tabacco. A seguito della scoperta da parte dello Stato di questo 'Grande Inganno' i contadini saranno costretti a muoversi verso la città. Lazzaro sarà così spettatore inconsapevole di una realtà in mutamento e allo stesso tempo attore partecipe e coinvolto dell'amicizia con il giovane Tancredi, figlio ribelle della Marchesa.

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