Lazzaro Felice (2018) - Recensione


Quando si pensa al cinema italiano contemporaneo difficilmente si riesce a trovare un autore che riesca a raccontare con efficacia l'intima essenza delle nostre terre. Alice Rohrwacher però è una di quelle autrici, che riescono ad incantare, e con il suo ultimo lavoro Lazzaro Felice (id., 2018, 130') dà vita a un' opera che racconta con sentimento e vigore una piccola storia di agrodolce mistero, riuscendo intelligentemente a frugare nell'urna delle leggende popolari italiane.
La vicenda si apre in medias res con la quotidianità di un gruppo di contadini dell'Italia centrale e, in particolare, con l'idilliaca condizione di Lazzaro, un ragazzo a malapena ventenne che, per un ritardo mentale o per la sua ingenua bontà, si ritrova a essere alla mercé dei contadini. Ma sarebbe meglio dire mezzadri, dato che, pur essendo la storia ambientata negli anni '90, questi individui sono proprietà della Marchesa Alfonsina De Luna, la signora del tabacco. A seguito della scoperta da parte dello Stato di questo 'Grande Inganno' i contadini saranno costretti a muoversi verso la città. Lazzaro sarà così spettatore inconsapevole di una realtà in mutamento e allo stesso tempo attore partecipe e coinvolto dell'amicizia con il giovane Tancredi, figlio ribelle della Marchesa.

Oiktos (Pity)


La reazione culturale alla crisi economica, politica e sociale della Grecia, almeno in ambito cinematografico, è sicuramente tra le più bizzarre e inaspettate. Occasione, a quanto sembra, per ripensare da una parte le proprie origini storiche in termini di colonne portanti dell'Europa, dall'altra il proprio posto nel mondo in un contesto post-internet, il nuovo cinema Greco, definito "Greek Weird Wave", gioca tutto sull'esasperazione e lo stravolgimento della quotidianità alla ricerca del fatto "strano" o "insolito". Di difficile reperibilità alcune di queste pellicole riescono ad infilarsi nell'immaginario mainstream come bombe ad orologeria. Il caso più emblematico, l'unico in realtà, è quello di Yorgos Lantimos che con i suoi The Lobster (id, 2015) e Il Sacrificio del Cervo Sacro (The Killing of the Sacred Deer, id, 2018) ha socchiuso la porta verso questo cupo scorcio di mare in tempesta. Mitologia, profezie e psicologie impossibili fungono da bacino di rifornimento per la messa in scena di una realtà contemporanea sconvolta nel profondo. Pity (Oiktos, Babis Makridis, 2018) rientra in questi criteri e getta una luce di felice sconforto sulle pieghe di questa tendenza.

Suspiria


Nell'epoca in cui si gioca a riprendere e reinventare i classici del cinema per farne delle versioni più "moderne" e "aggiornate" (tra l'altro come se i film avessero una data di scadenza) chiamare un film Suspiria (Luca Guadagnino, 2019) può condurre a due esiti possibili: la scoperta di un genio sopito o il suicidio intellettuale. Guadagnino non sembra sapersi orientare tra le due alternative e gioca la carta della libera interpretazione di un classico del cinema, o meglio, a quanto sembra, la visione che lui ebbe del Suspiria di Dario Argento (id, 1977). Ciò che prende forma è un film ignavo, che non sembra volersi discostare da una certa poetica sentimentalista, ma allo stesso tempo vuole osare, senza però intraprendere nessuna delle direzioni fino in fondo.

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