Il Buco. Guida alle metafore


“La metafora è la realtà” sostiene Jean-Luc Godard nel suo testamentario Adieu au Langage (id., 2014). Si è certamente abituati a vedere rappresentata la realtà attraverso racconti che grazie alla potenza delle loro metafore siano capaci di sviscerare l’implicito funzionamento della realtà stessa, o almeno a darne un’interpretazione efficace. Sembrerebbe difficile sostenere che un film come Il Buco (El Hoyo, 2019) di Galder Gaztelu-Urrutia, qui al suo esordio alla regia, possa discostarsi da questo filone e trovare un’autentica propria originalità. Eppure, il cineasta spagnolo riesce bene nell’intento grazie alla sapiente disposizione degli elementi in gioco, sfruttando con intelligenza il campo del visibile e compiendo un generale cambio di prospettiva su questo particolare genere cinematografico.

Lazzaro Felice (2018) - Recensione


Quando si pensa al cinema italiano contemporaneo difficilmente si riesce a trovare un autore che riesca a raccontare con efficacia l'intima essenza delle nostre terre. Alice Rohrwacher però è una di quelle autrici, che riescono ad incantare, e con il suo ultimo lavoro Lazzaro Felice (id., 2018, 130') dà vita a un' opera che racconta con sentimento e vigore una piccola storia di agrodolce mistero, riuscendo intelligentemente a frugare nell'urna delle leggende popolari italiane.
La vicenda si apre in medias res con la quotidianità di un gruppo di contadini dell'Italia centrale e, in particolare, con l'idilliaca condizione di Lazzaro, un ragazzo a malapena ventenne che, per un ritardo mentale o per la sua ingenua bontà, si ritrova a essere alla mercé dei contadini. Ma sarebbe meglio dire mezzadri, dato che, pur essendo la storia ambientata negli anni '90, questi individui sono proprietà della Marchesa Alfonsina De Luna, la signora del tabacco. A seguito della scoperta da parte dello Stato di questo 'Grande Inganno' i contadini saranno costretti a muoversi verso la città. Lazzaro sarà così spettatore inconsapevole di una realtà in mutamento e allo stesso tempo attore partecipe e coinvolto dell'amicizia con il giovane Tancredi, figlio ribelle della Marchesa.

Oiktos (Pity)


La reazione culturale alla crisi economica, politica e sociale della Grecia, almeno in ambito cinematografico, è sicuramente tra le più bizzarre e inaspettate. Occasione, a quanto sembra, per ripensare da una parte le proprie origini storiche in termini di colonne portanti dell'Europa, dall'altra il proprio posto nel mondo in un contesto post-internet, il nuovo cinema Greco, definito "Greek Weird Wave", gioca tutto sull'esasperazione e lo stravolgimento della quotidianità alla ricerca del fatto "strano" o "insolito". Di difficile reperibilità alcune di queste pellicole riescono ad infilarsi nell'immaginario mainstream come bombe ad orologeria. Il caso più emblematico, l'unico in realtà, è quello di Yorgos Lantimos che con i suoi The Lobster (id, 2015) e Il Sacrificio del Cervo Sacro (The Killing of the Sacred Deer, id, 2018) ha socchiuso la porta verso questo cupo scorcio di mare in tempesta. Mitologia, profezie e psicologie impossibili fungono da bacino di rifornimento per la messa in scena di una realtà contemporanea sconvolta nel profondo. Pity (Oiktos, Babis Makridis, 2018) rientra in questi criteri e getta una luce di felice sconforto sulle pieghe di questa tendenza.

Suspiria


Nell'epoca in cui si gioca a riprendere e reinventare i classici del cinema per farne delle versioni più "moderne" e "aggiornate" (tra l'altro come se i film avessero una data di scadenza) chiamare un film Suspiria (Luca Guadagnino, 2019) può condurre a due esiti possibili: la scoperta di un genio sopito o il suicidio intellettuale. Guadagnino non sembra sapersi orientare tra le due alternative e gioca la carta della libera interpretazione di un classico del cinema, o meglio, a quanto sembra, la visione che lui ebbe del Suspiria di Dario Argento (id, 1977). Ciò che prende forma è un film ignavo, che non sembra volersi discostare da una certa poetica sentimentalista, ma allo stesso tempo vuole osare, senza però intraprendere nessuna delle direzioni fino in fondo.

Roma


Realizzato a partire dai ricordi d'infanzia del regista, Roma (2018, Alfonso Cuaròn) si presenta come un ritratto intimo e doloroso di un tempo che non c'è più, ma piuttosto che limitarsi a una mera ricostruzione nostalgica, il passato è occasione per un tentativo di comprensione del presente.

I migliori film del 2017

Questi film seppur realizzati nel 2017 sono da intendersi come film visti durante il 2018. Principalmente perché sono diventati reperibili durante l'anno appena trascorso. Ho deciso di realizzare una classifica breve dato il numero elevato di film del 2017 che, purtroppo o per fortuna, devo ancora recuperare. Questi film hanno il pregio, esclusivamente a titolo personale, di aver riacceso in me la fiamma della passione per il cinema ed è per questo che mi sento di consigliarli vivamente. 
Buona visione e buon anno!

1. Il Filo Nascosto (Phantom Thread) di Paul Thomas Anderson 


2. Les Garçons Sauvages di Bertrand Mandico


3. Madre! (Mother!) di Darren Aronofsky 


4. First Reformed di Paul Schrader 


5. Zama di Lucrecia Martel 


Les Garçons Sauvages


Quando si pensa alla metamorfosi ciò che viene subito in mente è la trasformazione di un oggetto, animale o persona in qualcos'altro, ma che allo stesso tempo continua a mantenere una sua identità di fondo. Si pensi a Gragor Samsa che, pur rendendosi conto di esser diventato uno scarafaggio, continua a ragionare da essere umano. Una condizione di indeterminatezza, dunque, nella quale le differenze sono annullate e di conseguenza gli opposti coincidono. Les Garçons Sauvages (2017, Bertrand Mandico), capolavoro del cinema contemporaneo, gioca con questa idea di un mondo in continua mutazione; nel quale le isole diventano esseri anfibi, i fiori si trasformano in falli, l'urina, il latte e lo sperma sono la medesima cosa, poiché fluido vitale.

Macbeth (1982) di Béla Tarr



Béla Tarr è ormai riconosciuto come un cineasta monumentale, di fondamentale importanza per la comprensione del cinema, eppure ancora poco conosciuto e volutamente tralasciato da chi è solito occuparsi di cinema. La ragione di questo fatto è sicuramente la difficoltà della materia da trattare e una certa soggezione da parte dello spettatore che sembra ritrovarsi a disagio nell'affrontare film molto lunghi, magari in bianco e nero, con tempi dell'azione molto dilatati. In ogni caso i saggi e le pubblicazioni abbondano, soprattutto all'estero, in Italia sono ancora poche, ma apprezzabili. Poiché la sua filmografia si può a buon diritto ritenersi conclusa (Tarr ha infatti dichiarato che Il cavallo di Torino (2011) è il suo ultimo film) è interessante andare a scavare in ciò che il suo cinema è stato, come si è evoluto, alla ricerca di elementi prolifici. 


Halloween (2018) di David Gordon Green


Piuttosto che concentrarci sugli aspetti più formali di Halloween (2018, David Gordon Green) mi limiterò a fare un breve identikit della figura del serial killer, per come essa è evidentemente concepita dal cittadino medio del mondo occidentale (  non solo?).
Nel pieno degli anni '70 ciò che spaventava maggiormente era lo sfortunato incontro con un individuo mentalmente instabile. Qualcuno nascosto dietro una siepe, magari vestito di di stracci e con una maschera sul volto inizia a perseguitarvi, e con molta facilità ossessionarvi, per poi entrarvi in casa pronto a colpire, prendendosi prima il tempo necessario per studiarvi. Questa era la visione del serial killer di John Carpenter in Halloween (1978), film che diede vita al genere slasher. 

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