Suspiria


Nell'epoca in cui si gioca a riprendere e reinventare i classici del cinema per farne delle versioni più "moderne" e "aggiornate" (tra l'altro come se i film avessero una data di scadenza) chiamare un film Suspiria (Luca Guadagnino, 2019) può condurre a due esiti possibili: la scoperta di un genio sopito o il suicidio intellettuale. Guadagnino non sembra sapersi orientare tra le due alternative e gioca la carta della libera interpretazione di un classico del cinema, o meglio, a quanto sembra, la visione che lui ebbe del Suspiria di Dario Argento (id, 1977). Ciò che prende forma è un film ignavo, che non sembra volersi discostare da una certa poetica sentimentalista, ma allo stesso tempo vuole osare, senza però intraprendere nessuna delle direzioni fino in fondo.



Il presupposto per un film epocale c'è e la potenza visiva di Guadagnino si esplicita in più di un'occasione. Le scene coreografiche e di danza riescono a dare un senso alla tematica trattata, ovvero la stregoneria. Il potere sovrannaturale delle streghe è connaturato alla loro natura femminea, i lineamenti del corpo e il suo performarsi nella danza, così che quest'ultima diventa lo strumento dell'esercizio del loro potere. Il corpo delle streghe è imperituro, ma decadente e consumato. Questi e altri elementi canonici della tradizionale rappresentazione delle streghe, come l'attaccamento ferino al sesso e alla maternità, sono ben confezionati, e nel complesso la narrazione funziona ed è all'altezza di un racconto godibile. Il problema giunge nel momento in cui Guadagnino vuole a tutti i costi inserire la vicenda dello psicologo come colonna portante del film andando a scavare nella sua stessa psicologia, tentanto, con un colpo da maestro (il finale in questo senso è decisamente esplicito) di dirottare l'intera vicenda sul classico melodramma d'amore. Certo, per quanto sia funzionale alla vicenda, non si capisce il perché della necessità di inserire il cosiddetto personaggio testimone della rinascita della strega suprema, dal momento che quest'ultima, una volta riemersa, gli cancella la memoria. E soprattutto con un personaggio di tal fattura non considera il ruolo dello spettatore, che viene in questo modo tagliato fuori dall'esperienza, in quanto egli stesso basterebbe come testimone della vicenda. Ma guadagnino non sembra volersi spingere in certe questioni teoriche, suppur queste decisamente basilari. 
Dal punto di vista visivo ci si chiede: perché la realtà e non l'allucinazione? In un dato momento del film la magia/strega, rappresentata nella forma di un'eterea proiezione 2D occupa interamente lo schermo per poi condurre la protagonista attraverso la labirintica scuola di danza fino ai sotterranei in cui si svolgerà il rituale della rinascita. In questa sede il rituale sembra avvenire in una realtà onirica, e la classica confusione tra livelli di realtà differenti funziona, ma improvvisamente Guadagnino fa capire che è tutto reale, che si tratta effettivamente di un rituale che avviene nella realtà filmica, ripiombando nella canonica rappresentazione materiale del sovrannaturale (questa si, scaduta da tempo, e decisamente poco interessante). 
In conclusione Suspiria rimane, per il momento, un oggetto tanto accessorio quanto comunque fecondo di ulteriori riflessioni dal punto di vista della narrazione e l'estetica. Un lavoro spurio, influenzato dal classico, e allo stesso tempo bramoso di includere in sé immagini da videoclip. 

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