Kong: Skull Island (2017) di Jordan Vogt-Roberts



Difficilmente un film pensato per essere un prodotto d'intrattenimento riesce a restituire qualcosa di autentico; è per questo che "Kong: Skull Island" (2017) risulta un oggetto atipico nel panorama cinematografico hollywoodiano. Da un lato si presenta come un giocattolo per cinefili, dall'altro esplora alcuni concetti narrativi e visivi che mettono in serio dubbio la natura stessa di questo genere di film. Cosa accadrebbe se in "Apocalypse Now" (Francis Ford Coppola, 1979) i selvaggi venerassero, al posto del colonnello Kurtz, un enorme gorilla come divinità?



 Per quanto King Kong sia un personaggio del grande schermo che viene sfruttato fin dagli anni '30, protagonista di rivisitazioni e riadattamenti, apparizioni in altri film e padre di mostri, solamente dopo quasi un secolo riesce ad essere veramente interessante. Ambientare il film alla fine della guerra del Vietnam fa di Kong un'enorme protesi della guerra stessa. Un proseguimento inaspettato dove la vittoria è ancora possibile, dove i soldati possono trovare terreno fertile per la vendetta e la redenzione, nel loro sogno di dominazione. Ed è subito chiaro come l'esaltazione e il delirio di onnipotenza siano le forze in gioco che muovono i fantocci/personaggi. Eppure non si risolve tutto in una guerra senza regole dell'uomo contro la bestia, per quanto tutto sia pensato per rientrare nello stereotipo. Qualcosa sfugge di mano, il controllo sul reale è perso. Subentra con brutalità il dubbio e la narrazione si apre all'inquietudine e al terrore. Qui è possibile istituire il parallelo con il film di Coppola, prima che sulle scene che rimandano direttamente al capolavoro del '79 (come quella degli elicotteri). E' il terrore che si genera quando si scopre che la realtà è insensata e il mostro diventa traccia visibile e scomoda di questa insensatezza. Nel teatro pirandelliano di Vogt-Roberts i personaggi si chiedono in maniera incessante: "Ma che cazzo sta succedendo?". Kong assume il ruolo di presenza filmica ingombrante, dominatore del campo lungo. E per quanto si risolva tutto in un incontro clandestino tra galli i mostri subiscono un processo di despettacolarizzazione che mette in luce la loro futilità e inconsistenza, il loro essere possibile solo come segno filmico che scardina l'ordine della realtà e ne destituisce il funzionamento simbolico.







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