Halloween (2018) di David Gordon Green


Piuttosto che concentrarci sugli aspetti più formali di Halloween (2018, David Gordon Green) mi limiterò a fare un breve identikit della figura del serial killer, per come essa è evidentemente concepita dal cittadino medio del mondo occidentale (  non solo?).
Nel pieno degli anni '70 ciò che spaventava maggiormente era lo sfortunato incontro con un individuo mentalmente instabile. Qualcuno nascosto dietro una siepe, magari vestito di di stracci e con una maschera sul volto inizia a perseguitarvi, e con molta facilità ossessionarvi, per poi entrarvi in casa pronto a colpire, prendendosi prima il tempo necessario per studiarvi. Questa era la visione del serial killer di John Carpenter in Halloween (1978), film che diede vita al genere slasher. 



Paure e timori di un tessuto sociale sfaldato dell'america post guerra del vietnam iniziavano a prendere forma e a essere canalizzati in figure relegate ai margini della società: malati di mente, casi psichiatrici, ma anche poveri e barboni. Gli anni '70 furono un massacro, il decennio che vide l'invenzione del termine 'serial killer', a causa dei numerosi casi di efferati omicidi da parte di individui inspiegabili, inconcepibili. Non è un caso dunque che lo scarto del sogno americano assuma le fattezze di volti anonimi, maschere inespressive, il volto di un nemico tutto sommato riconoscibile (alla televisione, per esempio). L'immaginario è scolpito in una maschera, il viso catatonico di William Shatner che interpretò il Capitano Kirk in Star Trek, cioè il volto scelto da Carpenter per la maschera del suo Micheal Mayers. Maschere, sinonimo di festa di Halloween, in cui i morti devono essere spaventati e respinti, periodo dell'anno fortunato per i serial killers mascherati, liberi di presentarsi alla luce del sole per ciò che sono, indifferenziati e nascosti. Questo è esattamente ciò che succede in una scena di Halloween (2018), una tra le scene horror più riuscite degli ultimi anni, in cui Mayers si aggira indisturbato tra le strade affollate di bambini e ragazzi mascherati, commettendo una serie di omicidi in piano sequenza. E sono lacrime. Di gioia ovviamente, per un cinefilo di fronte a tale esecuzione.
Eppure salta immediatamente alla mente una fondamentale differenza con il Mayers del film di Carpenter. Egli non aspetta, non studia la sua vittima, bensì agisce istantaneamente, come richiamato da un senso del dovere. Il suo compito è eliminare più persone possibili nel minor tempo possibile. Questa caratteristica rende il personaggio più simile a un terrorista, piuttosto che a un 'semplice' serial killer. Il suo agire è spinto da una forza determinista, totalmente cieca e inarrestabile, come se fosse guidato da una forza cosmica totale, per riportare l'ordine al caos, l'incarnazione del principio d'entropia. Il suo incedere è inarrestabile, è immortale, è spersonalizzato.
La paura del pazzo psicopatico si è trasformata in un terrore per le leggi dell'universo, un terrore totale, invisibile, la paura della morte in paura della paura stessa, e non tanto per il volto della maschera, ma per ciò che si nasconde sotto: il nulla.

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